GRANO E LOGLIO. ANCHE NELLA FINANZA

Ha fatto scalpore la notizia che un certo Greg Smith, alto dirigente della società finanziaria Goldman Sachs, si è dimesso dal suo incarico a causa del progressivo “declino della fibra morale” dell’azienda e per il modo con cui questa tratta i suoi clienti, considerati come “pupazzi” da sfruttare. Minor rilievo è stato dato alla indifferenza, quasi alla sorpresa con cui l’ambiente finanziario ha reagito alla notizia.

Questa vicenda mi ha fatto ricordare, da una parte, un professore della Bocconi, principe dei commercialisti di Milano, che spiegava a noi matricole che “l’azionista è una pecora da tosare”. E quel banchiere… (per il seguito vai a Vorrei, oppure citato da R.G. Rajan e L. Zingales in “Salvare il capitalismo dai capitalisti” (Einaudi, 2003) che diceva: “Gli azionisti sono stupidi e impertinenti: stupidi perché danno il proprio denaro a qualcun altro senza avere alcun controllo effettivo sull’uso che ne fa, impertinenti perché pretendono anche dei dividendi come ricompensa per la loro stupidità”.

Ma mi ha fatto anche ricordare la storia di un mio amico che, dopo pochi mesi dall’aver assunto un ruolo di alto dirigente in una multinazionale delle sigarette, con compensi stratosferici, si dimise, disgustato per le pratiche messe in atto segretamente dall’azienda per aumentare la dipendenza dei clienti dal tabacco.

E più in generale ho ripensato alla lezione di Frederick F. Reichheld, già presidente della multinazionale della consulenza d’impresa Bain & Company, lezione che è stata tra le basi della mia attività professionale. Reichheld dimostrava, sulla base di numerose esperienze professionali, che “the loyalty” nei confronti di tutti gli stakeholder – dai clienti, fornitori, collaboratori, fino agli investitori e al fisco – poteva consentire a una impresa risultati eccellenti e duraturi.

Gli esempi, in un senso e nell’altro, sono numerosi. E trattandosi di attività economiche, Il protagonista è il denaro.

C’è chi lo considera, apertamente o nascostamente, come “farina del diavolo”, cioè come legato indissolubilmente al male. Alcuni si rifanno alla famosa frase dell’imperatore Vespasiano il quale, a chi lo criticava perché rimpinguava le casse dello stato tassando l’uso dei gabinetti pubblici, replicò: “Pecunia non olet”, il denaro non ha odore. Altri ancora arrivano addirittura a deificare e adorare il denaro, come gli ebrei con il vitello d’oro.

Ma c’é anche chi considera il denaro come valore al servizio di altri valori più alti. Per questi il denaro l’odore ce l’ha, eccome, buono o cattivo. Ritengono giustamente che esista il danaro pulito e quello sporco, come del resto la cronaca quotidiana ci dimostra. E che se del denaro può essere fatto un uso perverso, è anche possibile “fare soldi” producendo valore anche per gli altri, e non solo economico.

A complicare le cose ha giocato, negli ultimi decenni, la crescita abnorme dell’economia finanziaria. Questa crescita ha solo in parte corrisposto allo sviluppo dell’economia reale, di cui la finanza dovrebbe restare l’ancella. Ma per la maggior parte, essa si è replicata come una metastasi.

Per risanarla servirebbero cure da cavallo a livello globale (come la Tobin Tax, finalizzata a rendere meno convenienti le operazioni speculative, o l’eliminazione dei paradisi fiscali). Ma le iniziative in questa direzione tardano a realizzarsi. Il che dà la misura della potenza degli interessi in gioco che ostacolano il risanamento, interessi che sicuramente sono legati osmoticamente con l’economia criminale.

Risalire la china è difficile anche perché il veleno è entrato nel metabolismo di interi paesi, a partire dagli USA e dalla Gran Bretagna. Basti dire che nel Regno Unito le attività bancarie, che costituivano nel 1980 il 70% del prodotto del paese, cioè un ammontare fisiologico rispetto alla economia reale, oggi sono pari a cinque volte il prodotto. Come dire: è una economia sempre più esangue dal punto di vista della produzione di beni e servizi reali e obesa dal punto di vista finanziario, per risanare la quale, al punto in cui si è giunti, occorrerebbe una cura di ricostituenti e diete potenzialmente esplosivi.

Ma se i poteri oscuri e quelli speculativi sono forti, anche quelli creativi di valore lo sono.

Se guardiamo all’economia complessiva, vediamo che la maggior parte è fatta di gente di quest’ultimo tipo: produttori di beni e servizi utili per la collettività, e consumatori che a loro volta fanno di quei beni e servizi un uso positivo. Si può trattare di una macchina utensile per produrre altre cose, o anche di una chitarra perché della musica non si può fare a meno. E magari anche di patatine fritte, da mangiare in un giusto equilibrio tra gusto e colesterolo. E infine, anche di servizi bancari, essenziali per lubrificare con la “liquidità” le attività creative di tutti.

Non è certamente facile distinguere tra economia positiva ed economia negativa, anche perché tra l’una e l’altra vi è un’ampia zona grigia o quanto meno questionabile.

E tuttavia, chi volesse assumere una funzione di “contropotere” – inteso come capacità di controllo e interdizione contro le degenerazioni e le devianze del potere – dovrà seguire una strategia obbligata: inserire un cuneo tra le due economie, perseguire l’alleanza con i protagonisti della giusta economia per battere insieme le forze dell’economia perversa.

Ma per fare questo, dovrà abbandonare l’idea di uno scontro tra classi che non esistono più, rottamare l’armamentario ideologico dei secoli scorsi.

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